Un inizio mostruoso

Incipit del manoscritto originale di Frankenstein
Incipit del manoscritto originale di Frankenstein

La sindrome da pagina bianca esiste, eccome. Di solito per me è un buon segnale (per quanto generi una tensione emotiva fortissima); mi spiego: tendenzialmente il panico di fronte al foglio …di Word … ancora immacolato arriva quando ho un’idea davvero buona. C’è. Ed è tutta da tirare fuori.

Quando, invece, prevale la chiacchiera fine a se stessa e autoreferenziale, il blocco da pagina bianca non c’è quasi mai… anzi, le parole non la smettono di uscire. Mi pare che il significato allegorico di ciò sia: abbiamo molto da dire, quando non c’è niente di davvero importante da dire.

Ma quando ‘tocco’ nella mia testa qualcosa di veramente vitale e scottante, allora la paura del bianco prevale. Perché – Melville docet – il bianco non è indice di vuoto, ma di sovrabbondanza. Ho notato che c’è sempre stata una congestione dolorosa, in tutti i casi in cui – poi – ho scritto qualcosa non dico di eccezionale, ma sicuramente di autentico. Lo  spiega benissimo Mary Shelley nel raccontare quanto fu difficile cominciare a scrivere Frankenstein:

Provavo quella totale incapacità di inventare che è la più grande disperazione di uno scrittore, allorché il puro Nulla risponde alle sue ansiose invocazioni. “Hai trovato la tua storia?”, era la domanda che mi si poneva a ogni risveglio, e a ogni risveglio ero costretta a una mortificante risposta negativa. Ogni cosa deve avere un inizio, per dirla con Sancho, e questo inizio deve essere legato a qualcos’altro che viene prima. Gli Indu hanno posto il mondo su un elefante, ma hanno messo l’elefante sulla tartaruga. L’invenzione, bisogna ammetterlo con umiltà, non consiste nel creare dal nulla, ma dal caos. Prima di tutto si deve trovare il materiale; noi possiamo dar forma a una sostanza oscura e inerte, ma non possiamo creare la sostanza stessa. In tema di scoperte e di invenzioni, anche quelle che appartengono al regno dell’immaginazione, torniamo continuamente alla storia di Colombo e dell’uovo. L’invenzione consiste nella capacità di cogliere le possibilità di un soggetto e nel saper dar forma e attrattiva alle idee che contiene in sé. (traduzione dall’inglese di Maria Paola Saci)

Insomma, un inizio è un atto di umiltà. Deve fare i conti con qualcosa che esiste prima, con la sovrabbondanza di realtà che bussa nella testa, invade i pensieri e – come prima cosa – produce o silenzio o balbettio. Perché l’incipit è la dichiarazione di qualcuno che si mette a comprendere, non di qualcuno che ha già capito tutto ed è a posto. Questo fa la differenza. Gli inizi facili mi insospettiscono sempre, mi lasciano il dubbio che in realtà ‘me la voglio raccontare’.

Non possiamo creare la sostanza stessa – diceva Mary Shelley. Possiamo sentirne l’urto e rispondere. L’umiltà di un vero inizio coincide 411px-Salterio_diurno_del_XVII_secoloanche con lo stupore. Comincio a capire un po’ meglio le miniature medievali, o forse è solo una mia libera associazione di pensiero. Vedere una pagina scritta in cui la prima lettera è un capolavoro di maestria artistica è significativo della meraviglia (o dello sconcerto) che c’è prima di mettersi a scrivere. Quella prima lettera gigantesca e decorata dichiara non tanto che quello che segue sarà maestoso, bensì che quello che precede la scrittura è maestoso. È maestoso l’impatto delle cose su di noi, quando è autentico; è quel tumulto invadente che c’impone di volerlo sbrogliare un po’, scrivendo o magari parlandone.

Ciò che segue, sta al passo e ha come riferimento quella prima mirabile lettera iniziale. Il resto delle scritto guarda lì, a quell’inizio strepitoso … a quel momento in cui – per un istinto, per intuizione – la presenza delle cose ci ha sbalordito e stimolato.

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