Il relativista (…ovvero: basta una zanzara per sconfiggere il Diavolo)

E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond’ io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.

Dante, Inferno, canto 3

Guardando una puntata del programma Giù in 60 secondi ho scoperto che esiste il relativista, e che non è (solo) un  filosofo.

relativista
Paracadutismo – lavoro relativo

In senso sportivo, il lavoro relativo è una disciplina del paracadutismo che consiste in un volo in caduta libera eseguito da 4, 8 o 16 componenti durante il quale si eseguono figure geometriche di gruppo. Posso solo immaginare che non sia affatto semplice orientarsi nell’aria mentre si precipita a non-so-quanti Km orari. E poi ci si deve anche aggrappare ai propri compagni in un modo specifico e particolare. Il contatto con gli altri va cercato ed eseguito con fatica.

Posso anche immaginare che non ci sia metafora migliore per descrivere la nostra vita, che altro non è se non un tuffo vorticoso in cui la prima cosa che tutti abbiamo sentito è stata l’intrusione dell’aria nei nostri polmoni. Tutto per noi è cominciato con un bel pianto, ed è stato un fiotto d’aria inaspettato a farcelo fare. Da allora in poi siamo «saltati dentro il mondo» e tuttora ci siamo in mezzo. È un salto che ci esalta e ci stordisce. Ciascuno di noi può scegliere se farlo in solitaria o se essere relativista, un coraggioso atleta che tenta di aggrapparsi a chi incontra per scrivere disegni sul tratto di strada che insieme si attraversa.

Dei grandi narratori e poeti credo si possa incontestabilmente dire che siano stati dei relativisti, cioè che abbiano scommesso sulla presenza umana non come somma di individualità distinte e solitarie, ma come disegno di relazioni che sbocciano. E ci sta che nel vivace mondo umano la parola «relazioni» non implichi solo cordiali strette di mano, ma anche spintoni e schiaffi…

Dal film "Amici miei"
Dal film “Amici miei”

Qualsiasi relazione, comunque, è meglio di nessuna relazione. Perché nessuna relazione significa «assolutismo» (ab-soluto = senza legami) e la monarchia assoluta è per definizione l’impero del Diavolo (dia-ballo = separo). Non è, infatti, un caso che il primo gesto lieto e vittorioso che s’incontra leggendo la Divina commedia sia quello di Virgilio, che tende la mano a Dante vedendolo spaventato (perché ha letto quella tremenda iscrizione sulla porta dell’Inferno che si conclude con Lasciate ogni speranza voi ch’intrate). La visione infernale è già sconfitta da quel gesto relativo, perché l’antidoto al Diavolo – che vorrebbe separare l’uomo e chiuderlo nella fortezza dei propri istinti, desideri e ricatti personali – è proprio la nostra capacità relativa, di creare legami con l’esistente. E se qualcuno ci tiene per mano, possiamo scendere fino negli abissi senza paura che il buio ci assorba e schiacci.

È quello che succede nel film Gravity. La povera Sandra Bullock, a un certo punto, sarebbe proprio spacciata: è rimasta sola in mezzo allo spazio, incapace di pilotare una navicella che peraltro risulta non funzionante. Perché poi dovrebbe prendersi la briga di cercare di salvarsi? Sulla Terra l’attende solo la più atroce delle condizioni, quella di madre sola che ha tragicamente perso una figlia piccola. Ecco, su quella navicella tutto parlerebbe di buio e liberazione dai vincoli terreni. Spegni il motore, spegni le luci, chiudi gli occhi. «Non hai scampo, cara mia, sei sola. E poi … vuoi davvero continuare a vivere, solo per trascinare avanti quel dolore che ti frantuma ossa e cuore? ». La voce del Diavolo – talvolta – appare assai ragionevole. Ed è la sua lusinga più insidiosa.

Fatto sta, che alla cara Sandra Bullock a quel punto, misteriosamente quanto visceralmente, va in soccorso una risorsa estrema. Qualcuno bussa alla porta della sua navicella alla deriva. Ricompare – come visione o fantasma – l’ultima figura umana che ha conosciuto, un altro astronauta – dalle sembianze peraltro gradevoli di George Clooney – che in una circostanza precedente l’aveva salvata dal naufragare nello spazio profondo. Quella voce amica la spinge a non mollare. Qualunque cosa sia, c’è nel fondo del nostro animo un istinto a non cedere al nulla e a cercare un legame a cui aggrapparsi anche nelle peggiori circostanze. Così nella selva, Dante ha visto Virgilio andargli incontro.

I nostri organi sensoriali sono tutti protesti all’esterno (occhi, bocca, orecchi, mani, naso) perché noi siamo bisognosi di un legame relativo, e il mondo è una folla di mani tese che il Creatore ci ha dato per farci sentire che non ci ha lasciati soli. Nella sua grande ironia, talvolta ci manda incontro anche dei fastidiosizanza1G seccatori … Dio ha creato anche la zanzara. Ma la zanzara, con la sua ostinata attitudine a immischiarsi con gli altri, è una fiera paladina del relativo (ed è dunque fiera avversaria del diabolico). La zanzara è un iperbole dell’idea che il legame con gli altri ci dà la vita.

Solo tendendo per mano qualcuno posso coraggiosamente incamminarmi a sondare le «segrete cose», che sono tutti i reconditi meandri della mia persona e delle altre persone; infatti, da sola io sarei capace solo di emettere sentenze e mai di fare scoperte.

Teniamoci d’occhio, sgomitiamo, punzecchiamoci … questo è l’antidoto che la letteratura diffonde da sempre nel mondo: uno scrittore costruisce vincoli tra le voci umane e con i suoni del mondo intero; se vogliamo, si tratta di un messaggio simpatico, ovvero di un’opposizione a oltranza alla monarchia assoluta di quell’ anti-patico (cioè che è contro il legame affettivo) del Diavolo.

«Uno sguardo di affetto e di sollecitudine – quando tutti gli altri occhi sono voltati in là con indifferenza, la coscienza di possedere la simpatia e il cuore di un solo essere, quando tutti gli altri ci hanno abbandonati – è un sostegno, una ragione che ci lega alla vita, un conforto nella più profonda desolazione che nessuna ricchezza potrebbe comprare, nessun potere al mondo potrebbe concedere» (Charles Dickens, Il circolo Pickwick)

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