– Parlami di te e del tuo paese – disse lo Spaventapasseri – Da dove vieni? Come sei capitata qui?
Dorothy gli raccontò del ciclone e gli descrisse il Kansas, dove tutto era grigio esattamente come nel Paese dei Pilucconi tutto era blu. Quando tacque, lo Spaventapasseri commentò:
– Non capisco perché hai tanta smania di andartene da questo luogo, dove tutto è ridente, per ritornare in quel tuo Kansas così squallido e triste. Non stai bene qui?
– Tu non puoi capire e forse non capiresti nemmeno se avessi il cervello – rispose Dorothy. – Noi esseri umani, fatti di carne e ossa, amiamo il luogo in cui siamo nati e dove abbiamo vissuto, anche se è brutto, perché quello è la nostra patria. E quando ne siamo lontani soffriamo di nostalgia.
– Hai ragione: non posso capire – sospirò lo Spaventapasseri. – Se la gente fosse fatta di paglia come me, non avrebbe patria e vivrebbe solo nei posti belli. È una fortuna per il Kansas che voi abbiate un cervello e siate fatti di carne e ossa, perché se no sarebbe disabitato.
(da Il Mago di Oz)
All’inizio mi ero soffermata sulla frase di Dorothy che documenta la nostra nostalgia insopprimibile, che non è solo un sentimento negativo, ma è il sigillo dell’amore che portiamo al luogo che ci ha accolti venendo al mondo. Ed è un vincolo che ci rende anche premurosi verso quel luogo. Ma più ci penso, più mi pare che la risposta dello Spaventapasseri sia ancora più eclatante. Lui ridice in modo paradossale quello che Dorothy ha già affermato, lo capovolge perché lo guarda con i suoi occhi “di paglia”, cioè di fantoccio e non di creatura. Solo una creatura col cervello, fatta di carne e ossa può amare un luogo brutto (se ad esso è legato da un vincolo di affetto), infatti un “essere emotivamente neutro” abiterebbe solo nei posti belli. E così il Kansas sarebbe disabitato…
Perspicace, per essere uno Spaventapasseri.
Eccoci, dunque. Noi siamo quelli che si danno da fare, edificano e amano il ritaglio di terra su cui sono stati messi. Periferie, centri rumorosi, campi aridi compresi. Siamo i soli che -possono- vedere “il bello del brutto” direbbe il signor Chesterton.
Sembra di sentire l’eco di Madeleine Delbrel in questa sua poesia/preghiera
NOI DELLE STRADE
Ci sono luoghi in cui soffia lo Spirito,
ma c’è uno Spirito che soffia in tutti i luoghi.
C’è gente che Dio prende e mette da parte.
Ma ce n’è altra che egli lascia nella moltitudine,
che non «ritira dal mondo».
E’ gente che fa un lavoro ordinario,
che ha una famiglia ordinaria o che vive un’ordinaria vita da celibe.
Gente che ha malattie ordinarie, lutti ordinari.
Gente che ha una casa ordinaria, vestiti ordinari.
E’ la gente della vita ordinaria.
Gente che s’incontra in una qualsiasi strada.
Costoro amano il loro uscio che si apre sulla via,
come i loro fratelli invisibili al mondo amano la porta
che si è rinchiusa definitivamente dietro di loro.
Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze
che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi
è per noi il luogo della nostra santità.
Noi crediamo che niente di necessario ci manca,
perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato.