Dallo scorso anno mio figlio Michele fa rugby, gioca nell’under 10 del Minirugby di Imola . Ne siamo entusiasti, per il progetto educativo che accompagna questo sport. Divertimento, amicizia, condivisione. E … anche cadute. Poca, pochissima slealtà.
Ecco che condivido la cronaca ironica di uno degli ultimi concentramenti a cui siamo andati, ovvero un mini-torneo a Ravenna. NB: “Giova” è Giovanni, l’allenatore della nostra squadra.
Domenica 26 Ottobre 2014
Nonostante le leggende sulla complessa viabilità della città di Ravenna, siamo arrivati puntuali ai campi «Dribbling». L’accoglienza è stata freddina, meteorologicamente … s’intende! Nuvoloso il cielo, pungente l’arietta. Quindi, si va di riscaldamento, muscolare per gli atleti e gastronomico per i genitori. Gli allenatori verificano che i ragazzi abbiano la maglietta termica e cercano uno spazio dove fare qualche esercizio preparatorio. Intanto, gli adulti-spettatori verificano dove prendere un caffè; s’incontrano volti amici sparsi per le viuzze attorno al campo da rugby, ci salutiamo e facciamo lo stesso esercizio vocale: «Hai visto se qui vicino c’è un bar?».
Un quarto d’ora dopo siamo tutti a bordo campo, tutti riscaldati (chi nello stomaco, chi nelle gambe). La delimitazione del campo di gioco suscita subito qualche perplessità nei genitori dell’under 10 che si mettono scherzosamente a verificare l’esatta perpendicolarità delle linee contrassegnate dai conetti. Più concentrato e serio, Giova richiama i suoi ragazzi su altre linee, quelle di gioco e raccomanda di stare ben schierati per tutta la lunghezza del campo. Bene, si comincia. E qui il resoconto prevedrebbe l’uso di terminologie e competenze che – ahimè – mi mancano. Annoto quel che dicono ad alta voce gli allenatori: «Aiutalo!» – «Sostegno!» – «Non siete da soli!».
Che meraviglia, penso. Basterebbero questi tre suggerimenti per tessere una lode sperticata al rugby. Tra i genitori prevale un più spartano: «Vai, buttalo giù!». È un mantra liberatorio a cui io stessa cedo volentieri. Provo a seguire la partita e ammetto che in molti casi non capisco perché l’arbitro fischia, imparerò pian piano regole e situazioni di gioco. Ma in un caso lo capisco pure io. L’arbitro ferma il gioco, si volta verso l’allenatore e dice: “C’è del sangue sulla gamba del bimbo”, al che il bimbo risponde: “Sì, però non è mio”. Perfetto, allora si va avanti.
Non c’è contesto sociale in cui una signora non senta il bisogno di recarsi alla toilette. Procedo a confermare la regola e per raggiungere i bagni attraverso la zona di gioco del under 12; qui l’orecchio cattura istruzioni tattiche un po’ diverse, segno di un livello avanzato; ad esempio: «Mi raccomando: voi due, fate pulizia!». Che strano. Metto in fila le varie istruzioni di gioco che ho sentito, e i conti non mi tornano. Ma non è quello che dico sempre anch’io ai bambini quando si tratta di mettere in ordine la cameretta? «Dai, però … aiutatemi a fare pulizia…non lasciatemi da sola, datemi un po’ di sostegno!». Niente da fare, sul campo sono tutt’orecchi; a casa fanno orecchie da mercante.
Al mio ritorno dalla sosta tecnica ai box, le squadre in campo sono cambiate. I nostri avversari (Ferrara o Forlì? … anche l’arbitro si è confuso, figuriamoci io) mostrano un impatto corporeo notevole. Giova si raccomanda con i nostri di «salire insieme» e di mettere «più grinta», si premura di valorizzare quelli che hanno dato sostegno alla squadra anche quando non avevano la palla in mano. Noi adulti a bordo campo l’abbiamo già buttata sul pettegolezzo, facendo supposizioni ironiche sulla dieta di certi giocatori avversari che non sembrano esattamente degli under. E ci premuriamo che le inquadrature del cellulare catturino ogni mischia e rincorsa.
Intanto il freddo è proprio scomparso, merito dell’entusiasmo e merito dell’olezzo di salsiccia che comincia a pervadere l’atmosfera. Anche ai genitori, infatti, tocca la mischia quotidiana, quella piacevolissima del terzo tempo in mezzo alla caciara e al fumo attorno alla griglia (mentre i nostri giovanotti fanno chissà-cosa-ma-va-benissimo nelle docce). Un pranzo domenicale coi fiocchi, poi si riparte verso casa. Ci siamo tutti? Marito alla guida, borsone sporco, figli felici. Tutti presenti. Ciao, alla prossima.
