È noto (ai miei amici) che, da quando conosco Chesterton, sono diventata matta. Cioè, ho una vera predilezione per i matti e per il ridicolo. Così, non c’è da stupirsi se oggi, lavorando a una traduzione, mi sia entusiasmata profondamente per un brano che stavo traducendo. L’autore è il messicano José Ruiz, non esattamente affine alla mia sensibilità, eppure nel suo libro Un serpente a sonagli per amico (che uscirà in primavera) trovo anche cose sagge. Come questo episodio: il giovane José, dopo aver passato un brutto periodo tra droghe e cattive compagnie, viene mandato in India, da alcuni suoi parenti, per rimettersi in sesto. Non è che il luogo gli risulti subito congeniale, ma un fatto lo colpisce…
Arrivato là, cominciai a provare nostalgia e volevo disperatamente tornare alla mia vita di prima, quella vita in cui ero a mio agio anche se era distruttiva e malsana. Un giorno m’incamminai verso il centro della città di Shiridi e mi sedetti in piazza, dove c’erano un paio di panchine e una bella fontana. Mi piaceva star lì seduto a studiare la cultura indiana, con cui non avevo ancora familiarità. Stavo costruendomi in testa il film del mio viaggio di ritorno in Messico dalla mia famiglia e dai miei amici, quando arrivò una coppia di uomini d’affari inglesi e si sedettero nella panchina accanto alla mia. Parlavano d’affari usando grossi paroloni, che non avevo mai sentito. Facevo del mio meglio per capirli e mi piaceva ascoltare il loro inglese, immaginando cosa mai volessero dire quei paroloni. A quel punto arrivò al centro della piazza uno strano vecchio: era un vagabondo che avevo visto in giro per la città in un altro paio di occasioni. Cominciò a danzare e intonare canti bhajan a voce alta e girando attorno alla fontana, completamente ignaro e disinteressato di chiunque lo guardava.
Ballò e cantò per un paio di minuti, poi uno dei due uomini d’affari disse: «Guarda quel vecchio, per me è pazzo».
Il suo collega ascoltava con grande attenzione, tenendosi una mano sul mento. Rimase seduto in silenzio per qualche momento, fissando il vecchio con stupore e meraviglia, prima di rispondere: «Potrà anche essere pazzo, ma quell’uomo è felicemente innamorato della vita». Poi si voltò verso il collega e gli chiese: «Tu sei felicemente innamorato della tua vita?».
Il collega ci pensò un attimo e poi, pur con reticenza, rispose: «No».
«Allora dimmi, chi è pazzo?» fu la replica del suo compagno.
Le parole sagge di questo straniero, curato ed elegante, penetrarono a fondo nel mio cuore. Chiesi a me stesso: “E io, sono felicemente innamorato della mia vita? Sto davvero facendo quel che amo?” Fino a quel punto della mia vita, io ero stato completamente stordito dalla droga e dall’alcol. Di me stesso pensavo: Non so neppure chi sono.
Non posso non pensare al personaggio di Scrooge, in Canto di Natale di Dickens, e a quanto anche lui debba farsi ridicolo agli occhi del mondo per scoprire finalmente chi è. Tutti i paroloni seri se ne vanno a quel paese, una volta che, grazie a un incontro proficuo, ci si mette a testa in giù come il clown per ribaltare i propri pregiudizi su di sé, le proprie granitiche e tristi certezze. Ecco cosa dice Dickens dopo questa … ehm… salutare capriola di Scrooge: «Alcuni risero di quel cambiamento e Scrooge li lasciò fare, perché sapeva che molte buone cose cominciano facendo ridere la gente».

Grazie….ne avevo proprio bisogno…un caso?non credo…un abbraccio