La scelta di Darby. Opportunità, non imposizioni (l’uomo è un cavaliere libero)

Stanca del ciarpame che mettono in circolazione i nostri quotidiani e giornali più blasonati, mi sto costruendo network per recuperare informazioni, fatti, eventi . Tra gli altri, mi sono messa a seguire il blog The Oregon Optimist.

Ci trovo notizie positive. Quelle che non sentiamo mai nei Tg. Ma ci sono. Perché, grazie al cielo, il mondo è un posto in cui il bene germoglia. E tendenzialmente resiste e perdura più della violenza e del male, che si esauriscono una volta esplosi.

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Foto di Elizabeth Haslam

Mi sono così imbattuta nella storia di Darby, che a sedici anni è rimasta incinta e ha deciso di non ricorrere all’aborto, grazie a una frase detta dal ginecologo che l’ha visitata. Non voglio fare di questa storia una pura e semplice propaganda anti-aborto, ma se possibile qualcosa di più generale.

Ebbene, ecco la storia della giovane Darby che va a farsi visitare. Ha il dubbio di essere incinta e ha anche il dubbio di cosa fare nel caso di un’eventuale gravidanza. Il ginecologo che la visita le conferma la gravidanza. E a quel punto, vedendo la reazione emotiva della giovane, le dice una cosa che per lei diventerà decisiva: “Ho visto tante donne pentirsi di un aborto, ma non ho mai incontrato una ragazza madre pentita di aver avuto un figlio”.

Darby racconta che quella frase le ha cambiato la vita, a quel punto le è stato chiara la strada da percorrere. E ha avuto il suo bambino.

In che modo stiamo accanto a chi deve affrontare eventi o scelte decisive, capitali, difficilissime?

Spesso la modalità “ora ti dico io cosa è giusto” (con relativo indice alzato) si innesca istantaneamente. Ed è corretto proporre in  modo onesto alle persone le nostre convinzioni. Io credo, infatti, che sia una balla mostruosa dire: “Per rispettare la tua libertà, mi astengo dal dirti qual è la mia opinione”. Non è rispetto della libertà, è fregarsene e non avere il coraggio di esporsi.

Eppure è decisivo rispettare la libertà altrui; e il modo più corretto di rispettarla è metterla in moto. Come? Non ho la ricetta universale, ho un’ipotesi che mi ha insegnato il signor Chesterton e che ha riempito di ginnastica la mia vita.

Partiamo da questa premessa. La libertà non è un modo per avere la strada spianata. Spesso, oggi, si crede di essere liberi quando si hanno sufficienti diritti per fare le cose che vogliamo, per fare e disfare in base all’istinto di ogni momento. Voglio essere libero/a di innamorarmi e di non sposarmi; voglio essere libero/a di sposarmi e poi divorziare; voglio essere libero/a di avere figli senza avere un/a compagno/a, ecc ecc. Se questa è libertà, assomiglia molto a una sottospecie di dittatura dell’istinto: come se ogni nostro momentaneo desiderio dovesse subito e per forza realizzarsi, se no non sono felice.

La libertà è qualcosa di più ricco e impegnativo. Che soddisfa pienamente l’uomo, offrendogli delle sfide da accettare. Offrendogli l’opportunità di combattere per ciò che ama. Chesterton dice che l’uomo è come il cavaliere della fiaba; deve raggiungere un castello lontano, passando attraverso un bosco, dove lo attendono prove e avventure. Questa è la trama fatta su misura per il nostro cuore. La nostra natura non è fatta per godersi la soddisfazione di ottenere ogni cosa che ci passa per la testa, ma è fatta per godere della libera scelta di poter dar prova di difendere e conquistare ciò che davvero ama.

Un'immagine dal film Robin Hood di Ridley Scott
Un’immagine dal film Robin Hood di Ridley Scott

Siamo fatti per le avventure impegnative che ci portano verso il castello. Non appena ci viene proposta una prova che possa svelare il nostro valore, noi ci sentiamo finalmente “vivi”, pronti a dare tutto noi stessi in nome di qualcosa che vale la pena salvare, conquistare, custodire. Perché intuiamo che un bene grande per noi è in gioco in un’impresa di valore . La bugia moderna dice, invece, che il cavaliere è più libero se si dimentica del castello lontano e comincia a divertirsi nel bosco, dove gli DEVONO essere date tutte le cose che vuole: un rifugio su un albero, cacciagione fresca, solitudine, agio e relax. Un cavaliere che si riduce così è indolente, ma soprattutto non è felice.

La storia di Darby testimonia che se a una persona è data l’opportunità di risvegliare la propria libertà, allora si sentirà di nuovo come il cavaliere della fiaba. Non abbiamo bisogno di persone che ESEGUANO la cosa giusta, ma che vogliano essere libere di dare tutto se stesse per qualcosa che riconoscono giusto. La risposta del ginecologo è perciò esemplare: non ha dato alla ragazza una risposta moralisticamente impacchettata, ha messo di fronte a lei un dato della sua esperienza, in modo che sembrasse una sfida. Non una provocazione, ma una sfida. A quel punto Darby aveva davanti a sé non una casella da barrare (gravidanza sì, gravidanza no), ma un percorso libero di cui essere protagonista: che nessuna ragazza madre si fosse pentita di aver avuto un figlio non era certo un dato neutro. Non dipingeva ai suoi occhi un orizzonte facile, sereno e in discesa, eppure lasciava trapelare un’avventura corrispondente al suo cuore. Un’opportunità. Come quella del cavaliere che sceglie di inoltrarsi nel bosco, perché si sente pienamente libero di affrontare tutte le prove necessarie per raggiungere il castello.

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Foto di Michal Kulesza

Nel mio piccolo, ma molto piccolo, è capitato anche a me qualcosa di simile, che conferma ciò che Chesterton mi ha fatto intuire; ovvero che l’uomo, messo di fronte a un’avventura impegnativa, ha voglia in piena libertà di dar prova del suo valore.

Io sono rimasta incinta proprio a metà del dottorato e, per quanto non avessi nessun dubbio sulla mia gravidanza, un certo pessimismo aleggiava nella mia testa. Sapevo bene che avere un figlio sarebbe stato incompatibile con il percorso universitario che avevo di fronte; per ottenere qualcosa nel futuro (una borsa di studio per la ricerca, un posto come docente) i professori  esigevano una disponibilità illimitata di spazio e tempo; era ovviamente una legge non scritta, ma vera quanto invisibile. Io ero fatta istantaneamente fuori. I miei compagni di dottorato, saputo che io aspettavo un bambino, mi venivano incontro dicendomi: «Mi dispiace». Lo giuro. Ma era il sentimento onesto di chi aveva messo in conto che la carriera richiedeva un netto sacrificio rispetto agli affetti.

Io non condividevo questa linea, tanto che mi ero sposata mentre studiavo, eppure quando si trattò di trovarsi di fronte al fatto che non avrei avuto un futuro in università, perché sarei diventata madre, ecco … i pensieri si annebbiarono. Fu decisivo mio marito che risistemò il mio orizzonte mentale con una frase tutt’altro che consolatoria, bensì provocatoria. Da ingegnere, mi richiamò alle fredde ma vere leggi matematiche e mi disse: “In aritmetica un positivo + un positivo non dà mai risultato negativo”. Vero. Io studiavo ciò che mi piaceva (positivo) e stavo portando nel grembo un figlio (positivo); spettava a me verificare che queste due cose insieme non potevano dare frutto negativo.

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Appunti miei … scarabocchi dei figli

È l’avventura in cui sono impegnata a vivere da allora. Ho lasciato l’università, e questo non ha significato smettere di scrivere e studiare ciò che mi piace. Non è una strada facile. Ora scrivo ascoltando un figlio di 8 anni che ripete la lezione sui Sumeri e con un altro di 4 sulle ginocchia che pigia a caso i tasti del mio computer. E dicono che scrivere dovrebbe essere un mestiere di solitudine e concentrazione. Può essere. Nella mia fiaba non è così. Sto cavalcando verso il castello e tante volte esco ferita dagli scontri coi goblin o coi draghi, ma questo mi aiuta meglio a capire perché sto qui a combattere.

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