Il 9 Maggio si è svolto a Roma un convegno dedicato a G. K. Chesterton, scrittore inglese di cui ho tradotto diverse opere.
Condivido il video del mio intervento a questo convegno, in cui racconto quello che spesso faccio anche su questo blog, cioè giudicare i fatti di cronaca tenendo conto della voce di Chesterton. Più sotto, trovate alcune righe pubblicate sul quotidiano La Croce, sempre in occasione del convegno romano, in cui ho risposto a una domanda sullo sguardo paradossale che GKC ha sempre mostrato nel guardare e giudicare i fatti del mondo.
«Bisogna ripensare i luoghi comuni – diceva Miguel de Unamuno – per liberarli dal loro maleficio». Chesterton usava l’apparente assurdità del paradosso per ridestare il lettore dall’incantesimo maligno dei luoghi comuni e spingerlo così alla riflessione. L’apologetica può dunque coniugarsi con uno stile paradossale come quello di GKC?
Il paradosso non è uno strumento, ma è un alleato: è l’unico paio d’occhiali che permette all’uomo di mettere a fuoco la sua presenza dentro il mondo. Nei primi tempi in cui mi avvicinai a Chesterton, anch’io credevo che lui usasse il paradosso come forma «educativa e stimolante» per far riflettere i suoi lettori. Col tempo, mi sono progressivamente convinta che la cosa sia ben più radicale. Infatti, Chesterton non ha mai l’atteggiamento cattedratico di chi vuole spiegare agli altri; lui si mostra sempre impegnato a conoscere sé e il mondo, anche quando scrive rivolgendosi ad altri. Scrive come chi cammina insieme a qualcuno verso una meta e, nell’andare, chiacchiera coi compagni di viaggio. Il paradosso fu il paio d’occhiali che Chesterton indossò durante il suo viaggio, e di conseguenza lo ha condiviso con gli altri.
Tutto per GKC comincia dall’esperienza infantile col teatrino di suo padre, in cui assisteva alla messa in scena delle fiabe. La realtà è la medesima cosa: è il creato, è uno spettacolo «messo in scena» da Qualcuno. Accorgersi di questo è non è immediato (spesso, per noi, il reale non è altro che uno sfondo ovvio); occorre l’acrobazia del paradosso, per non dimenticarsi del miracolo che è la presenza del mondo, come opera creativa e dono del Padre. Il presente è un “presente”, un regalo.
E c’è un abisso tra i luoghi comuni e il senso comune. Il luogo comune addormenta l’umano, il senso comune è la radice dell’uomo. E Chesterton fu uno strenuo difensore del senso comune; era profondamente convinto che le evidenze elementari e fondamentali sulla vita e sulla morte appartenessero alla quotidiana esperienza umana; andavano e vanno semplicemente risvegliate. Non a caso a lui interessavano le «tremende bazzecole», scavava a fondo nella semplicità dell’esperienza comune, fino a riportare in luce i pilastri vertiginosamente profondi che tengono in piedi il mondo. «Rendere semplice una cosa è sempre sensazionale» scrisse GKC e, grazie al paradosso, la vista si ribalta, per poi raddrizzarsi e tornare semplice; nel senso che ritorna visibile la sua semplice forma originaria.
Chesterton è capace di far questo, di far percepire all’uomo che la sostanza di vita che ciascuno ha per le mani è clamorosa. Senso comune – per come lo intende Chesterton – non significa banale o trito, bensì comprensibile e sperimentabile da tutti; una delle cose che più mi colpì traducendo La ballata del cavallo bianco fu la frase che Chesterton fa pronunciare alla Madonna, in cui Lei dice che le porte del Cielo sono solo socchiuse, perché Dio non è geloso dei suoi tesori ed è sufficiente che un contadino stia a guardare i suoi campi al tramonto per comprendere il Mistero della Trinità.
Grazie, come sempre!
Questa cosa del rapporto con gli altri uomini è per me la vera sfida oggi. Cioè avere stima dell’umanità di chi si ha di fronte o anche contro, prima di venir magari sopraffatti da una qualche esigenza di prevalere o difendersi. Ma spesso mi sento solo a doverci provare