Qualche mese fa raccontai sul settimanale per cui scrivo un incidente paradossale capitato a mia madre: era ferma in auto e un ciclista a gran velocità le è andato addosso. Il ciclista in questione è caduto privo di sensi, ma non a causa dell’urto bensì perché era decisamente ubriaco. Gli operatori dell’ambulanza intervenuti gli trovarono in tasca un gran coltellaccio, per cui intervenne anche la polizia. L’uomo rimase una notte in ospedale, per smaltire la sbornia (non per le ferite subite).
Nonostante la dinamica dei fatti fosse palesemente a danno di mia madre, la colpa è andata a lei in base alla semplicistica valutazione (e forse a una legislazione non del tutto adeguata) che, tra auto e bici, ha sempre torto l’auto. Mia mamma ha vissuto la cosa con molto nervosismo, come chiunque sbatte contro un’evidente ingiustizia. In quell’occasione, per sdrammatizzare e aiutarla, la paragonai a un’eroina, alla Donna Invisibile: involontariamente lei «aveva sventato» qualcosa di grosso, perché chissà cosa ci faceva in giro quell’uomo ubriaco con un’arma impropria … o cosa avrebbe potuto fare se lei -provvidenzialmente- non si fosse trovata a intralciarlo …
Oggi ci sono stati ulteriori sviluppi. L’assicurazione ha telefonato a mia madre per informarla che, dopo il risarcimento di 3800 euro già avuto, il suddetto ciclista ha chiesto altri soldi, sempre nell’ordine di grandezza di alcune migliaia di euro. E li otterrà. Contemporaneamente lo stesso individuo risulta schedato dalla polizia, per possesso di armi improprie. E non era sconosciuto alle forze dell’ordine. Assurdo eh?
Intanto mia madre ha tenuto la macchina tutta rotta, col paraurti fracassato, perché è un’idealista e non ha smesso di credere che qualche buon’anima – osservando le prove e analizzando la dinamica dei fatti – capisse che lei è incolpevole. Ma oggi, raccontandomi questi ulteriori sviluppi, era affranta. E avrebbe voluto smuovere mari e monti; stava pensando di scrivere lettere, di rivolgersi a certi forum, insomma di non lasciar cadere la cosa.
Un’ingiustizia, piccola o grande che sia, ci ferisce amaramente. Ci sentiamo impotenti. Contemporaneamente, noi esseri umani non siamo e non saremo mai capaci di una vera e piena giustizia. Non siamo così potenti. Questa contrapposizione fa pensare. Perché siamo così visceralmente capaci di sentire l’amarezza di un’ingiustizia, e poi – pur con tutta la nostra buona volontà – non potremo mai definitivamente portare la giustizia sulla terra?
Proprio perché siamo uomini. Siamo capaci di sentire le ferite. Non siamo capaci di curarle tutte, soprattutto quelle che richiedono una comprensione che va oltre i limiti dell’umano. La giustizia – quella vera, quella piena, quella totale – fa parte delle cose che l’uomo non può possedere e padroneggiare.
Ma l’ingiustizia è nel nostro raggio d’azione, e questo non è solo negativo. Non significa che siamo capaci solo di essere ingiusti; possiamo contrapporre all’ingiustizia qualcos’altro che è nelle nostre possibilità. Non so dargli un nome preciso, ma posso dire che ho suggerito a mia madre di lasciar perdere con tutte le contromosse tecniche che aveva escogitato. Le ho detto di andare a farsi un aperitivo, che per mia madre è come dire: vai sulla luna.
Crogiolarsi nei battibecchi, nei botta e risposta, significa – in fondo – venerare la rabbia, inginocchiarsi alla logica dell’ingiustizia. In questi casi è costruttivo porgere l’altra guancia. E lo intendo in senso tecnico: perché chi porge l’altra guancia, concretamente volta la faccia in un’altra direzione. E così sposta il centro dell’attenzione. Guarda altrove. Ecco perché è un gesto rivoluzionario: sottrae terreno e occasioni alla violenza. Non possiamo battere l’ingiustizia con la giustizia, ma possiamo far avvizzire l’ingiustizia lì dove attecchisce. Possiamo smettere di nutrirla, possiamo isolarla.
Porgere l’altra guancia è ribaltare la prospettiva; è guardare a qualcosa di più costruttivo dello scontro violento.
Vai a farti un aperitivo e goditi questa giornata di sole – ho detto a mia madre. Al Diavolo verrà senz’altro il nervoso, perché lui ci gode a vederci a testa bassa a darci cornate; e teme un uomo “cornuto e mazziato” eppure lieto, perché sa che le circostanze più favorevoli per tirar fuori da un essere umano qualcosa di clamorosamente efficace e positivo sono quelle in cui viene messo alla prova.
E io sono assolutamente convinta che, dopo l’aperitivo o anche tra qualche giorno o settimana, mia madre se ne uscirà con qualche buona idea per non rimanere un anello inerte nella vicenda che l’ha coinvolta. Una buona idea non nasce mai da una reazione istintiva. Nasce, appunto, da un buono. Che è da cercare, girando la faccia di qua e di là.
in effetti un’amica qualche giorno fa mi faceva notare che il gesto di porgere l’altra guancia secondo il padre della Chiesa Evagrio Pontico serve soprattutto perché venga preso a schiaffi in noi quel “demone” che si scatenerebbe nella rabbia.
Un abbraccio, in ogni caso, alla mamma.