Tempo di fine anno, tempo di bilanci.
Ma «bilancio» è proprio una parola brutta … soprattutto se applicata alla vita, che è sempre sbilanciata.
Sbilanciandomi, dunque, prendo atto che la mia parabola personale in quest’anno si è orientata al fallimento. E «fallimento» può essere una parola tutt’altro che brutta.
A gennaio, dopo aver visto per la centesima volta il bellissimo film Apollo 13, annotai sulla prima pagina della nuova agenda la frase con cui il comandante James Lovell definisce quell’impresa di sfortunati astronauti: «La nostra missione fu definita un fallimento di grande successo». In modo annebbiato intuivo che era una bella dritta umana, un punto di vista interessante per affrontare il nuovo anno. La realtà mi ha – benedettamente – snebbiato la vista, confermando che quello è un ottimo punto di vista.
Dunque, nel film c’è questo gruppo di astronauti che si preparano a una missione destinata a portarli sulla Luna. Poi, però, a causa di un guasto, la loro navicella si rompe e la missione salta, anzi l’unica missione che resta è quella di ritornare sulla Terra, possibilmente vivi. È un fallimento rispetto all’obiettivo inziale, ma è un grande successo perché quel brutto imprevisto costringe gli astronauti (in cielo) e gli uomini della Nasa (a terra) a dar prova di grande intraprendenza e creatività per salvare quell’equipaggio in pericolo. Se tutto fosse andato secondo i piani, non si sarebbero mai sognati di essere capaci di progetti, azioni e rischi tanto grandi.
E questa è la grande dritta: l’uomo dà tutto di di sé quando non è preparato a farlo. L’inadeguatezza delle sue mani porta a risultati più grandi delle capacità di cui vorrebbe andare orgoglioso.
«Houston, abbiamo un problema» è diventata la frase simbolo del film. Quel problema c’è ogni giorno: noi vorremmo sempre la Luna, ma i fatti ci portano altrove. Ed è un bene che sia così. Perché la nostra persona è molto più misteriosa e sorprendente di quello che noi penseremmo. E, soprattutto, ci sono traguardi insospettabilmente più grandi delle nostre tante «lune», quelle chimere astratte da cui immaginiamo dipenda la nostra felicità.
Ma è vertiginoso accettare, o anche solo ipotizzare, che le prove inaspettate della vita siano un’occasione propizia. Anche io, in quest’anno che volge al termine, sono andata avanti seguendo una mia tabella di marcia e fino a un certo punto ho potuto gongolare di certi obiettivi sperati e raggiunti. Questo mi ha spinto a puntare ancora di più sulla progettazione. Se mi organizzo e mi pongo linee guida chiare, tutto procederà bene – questo mi dicevo. E dire che segni d’allarme inequivocabili dell’errore che stavo facendo ne ho visti, lungo la strada: ho perso alcuni amici in quest’anno, portati via all’improvviso da incidenti e malattie; ne ho visti altri crollare sotto pesi umani insostenibili. In tutte queste circostanze, mi sono fermata per un po’ a riflettere e a sbattere la testa sul fatto che la realtà non è un pilota automatico impostato su una rotta decisa e prestabilita. È tutt’altro. Eppure, dopo questi momenti di acuta coscienza, ritornavo alla mia tranquilla e serena normalità.
Mi occorreva una botta. Ed è arrivata come una meravigliosa sorpresa a fine estate: ho scoperto di essere incinta. Questo, per quanto bellissimo, non era nei progetti e anzi li ha scombinati tutti. Avevo appena mollato un lavoro per intraprenderne un altro, a cui però ho dovuto rinunciare perché incompatibile con la gravidanza. E mi sono trovata sulla soglia dei 40 anni, con un terzo figlio in arrivo e senza lavoro sicuro.
Però la cosa ancora più concreta ed educativa è proprio l’esperienza fisica della gravidanza. Perché io sono una schiappa totale. C’è chi vive i nove mesi prima della nascita come un momento idilliaco, io no.
A me accade come nei film, quando lo sceriffo di una contea sperduta vede arrivare gli agenti dell’FBI che gli dicono: «Ora qui assumiamo noi il controllo». Ecco, anche io sperimento questo calcio nel sedere che mi relega in un angolo. La gravidanza procede perfettamente, e io precipito in condizioni pietose: riesco a nutrirmi solo di acqua e crackers, vomito fino a quando non entro in sala parto, ho le energie di un bradipo stanco, una tristezza cronica invade i pensieri. Sono proprio una schiappa. Ecco, sono un fallimento. Eppure ne salta fuori un grande successo.
Nulla di quel successo dipende dalle mie capacità, anzi pare proprio che salti fuori dalle mie incapacità. Al miracolo della vita che porto nella pancia non importa nulla che io sia in forma come Wonder Woman; accade nel mio corpo qualcosa di cui non sono padrona. La cosa più grandiosa, misteriosa e sorprendente di cui posso fare esperienza nella mia vita, non c’entra per niente con le mie doti. Ne sono testimone, ne sono tramite. Ne sono protagonista spettatore, e non regista.
All’ultima ecografia la dottoressa mi ha detto che il feto ha una malformazione ai reni e mi ha spiegato tutto in modo da non allarmarmi. Ha detto: «Dobbiamo solo aspettare e vedere». Io ho ascoltato e mi sono fidata. Ma la notte, al buio, quando tutte le paure montano in testa come lievito, il pensiero fisso va lì. Ma come? Io sono brava a mettere supposte di tachipirina ai figli malati, a portarli di corsa dal pediatra, a intravedere pericoli nei giochi che fanno; eppure, con questa creatura, che è la più piccola, devo solo aspettare. Non posso far nulla. Mi appoggio la mano sul pancione e la mia stessa pelle mi separa dal toccare la bimba, la mia stessa pelle è una barriera che dice: «Stai indietro, qui dentro accade qualcosa che non controlli tu». L’FBI ricaccia nell’angolo lo sceriffo. La progettazione si va a far benedire.
Ma è commovente che il mio fallimento porti frutto. La gravidanza m’insegna questo: c’è bisogno di te, ma nient’affatto della tua bravura, solo della tua presenza. Quanto sarebbe riduttivo pensare che il successo o l’insuccesso del venire al mondo di una vita dipenda dalla bravura della madre. Quanto è assurdo e sensato vedere che il successo di questa impresa procede a forza di notti passate a correre in bagno con lo stomaco sottosopra. Vedere che il mio corpo e la mia testa va in tilt, mentre nella pancia tutto cresce e si sviluppa non risentendo affatto dei miei limiti, è una bella botta di vita.
Me lo sarò detta mille volte, ma bisogna dirselo e ridirselo, provarlo e riprovarlo: solo l’umiltà costruisce. Anzi, a volte, solo con l’umiliazione si costruisce. E l’umiltà è sempre accompagnata da una strana gioia tenace, che la persona volitiva e orgogliosa non prova mai. Perché l’orgoglioso sta a pugni stretti, mentre l’umile sta a braccia spalancate. Quello che intuivo in modo confuso annotandomi quella frase sull’agenda è stata quasi una profezia, un’inconsapevole preghiera ascoltata ed esaudita.
Perciò è brutto fare un bilancio. A fine anno bisogna ringraziare, invece. Il giornale per cui lavoravo dedica il numero di fine anno al «Te deum», cioè a contributi in cui ognuno scrive un articolo per dire grazie dell’anno trascorso. Lo scrivevo anch’io, perché mi veniva chiesto: cioè … io spontaneamente dimenticherei il ringraziamento, ridurrei tutto a una misera constatazione di gioie e dolori. Per fortuna, qualcuno mi ha educato a buttare i bilanci e a tenere i ringraziamenti.
Quest’anno eccomi qui, a brindare con un normalissimo bicchier d’acqua che, ahimé, ha un saporaccio che mi dà i conati. Ed eccomi a ridere di me, conciata in modo pietoso, nel momento più bello della mia vita.
Grazie di cuore, Annalisa, anche da parte mia per la Tua testimonianza. Bianca è la mia nipotina di due mesi, il Gesù Bambino del nostro presepe : la piccolina è Gioia ed energia per guardare avanti con fiducia e serenità d’animo! Buon Natale
Bianca è il nostro Gesù Bambino quest’anno nel presepe di casa… È la mia meravigliosa nipotina che mi dà tanta gioia e tanta forza !! Ci sono lei, piccolina, e la sua bisnonna, tenera, da accudire. Rappresentano due momenti della vita e mi piace cullare tutte e due. Con Bianca tra le braccia i miei pensieri, le mie tristezze se ne vanno e trovano posto la carica e l’entusiasmo per affrontare il quotidiano. Il tuo scritto oggi mi ha dato energia, come solo le tue parole sanno infondere nel cuore, e di cuore auguro a Te e alla piccola nascitura tutto il Bene del mondo!
Grazie Annalisa per la Tua testimonianza e per la forza con la quale ci aiuti ad entrare nel mistero del Natale. Ti giro una riflessione di fr Christian de Cherge priore sgozzato insieme ai suoi monaci in Algeria nel 1996 da fondamentalisti islamici ” C’è speranza solo là dove si accetta di non vedere il futuro. Non appena pensiamo il futuro , lo pensiamo come il passato. Non abbiamo l’immaginazione di Dio. “Un Santo Natale
Grande Annalisa!!!!! Una carezza alla tua pancia, ed un bacino al Cuore della piccola, che così tanto ha da insegnarea tutti noi!
E allora sai che ti dico? Ringraziamo e preghiamo che Colui che tutto può, sistemi i reni della Cucciolina. Così poi Lo ringrazieremo più forte.
Grazie!
Anche io, quando mi sono scoperta incinta del terzo figlio, ho sperimentato quello che hai raccontato tu. Ma il buon Dio ci porta dove vuole e fa meglio di quello che avevamo in mente noi…
Buon Natale!