Lui va … dritto alla meta

articolo scritto per il magazine di Imola Rugby

Arriva il giorno in cui ti dici: può farlo, è pronto. E stai pensando a tuo figlio maggiore, che ha 10 anni e ti ha chiesto se può andare a rugby da solo in bici. Allora fai mente locale, anche se inizialmente sei troppo emotiva e ti vengono in mente solo i contro, senza considerare che i pro sono in netta maggioranza: in fondo è meno di un chilometro, tutto di pista ciclabile e deve attraversare la strada una sola volta, in un punto dove le auto rallentano per forza. img_5139

Però ci va di sera, è buio. Però ogni tanto si distrae. Però è ancora un bimbo.

Basta. Può farlo, è pronto. Non posso mettere le mie ansie davanti al suo giusto entusiasmo. Non è un salto mortale nel mondo del «lasciarlo solo». È un salto su misura per le sue capacità, un po’ oltre le mie braccia che vorrebbero ancora abbracciarlo tutto … o forse ingabbiarlo tutto.

Opto quindi per un compromesso. Più che altro per placare il mio batticuore. La prima volta che lo lascio andare in bici da solo decido di fare un controllo semi-invisibile. All’andata la nonna, che proprio a quell’ora ha un impegno in centro città, lo segue in auto (senza farsi vedere) finché la loro strada è la medesima. Al ritorno gli vado incontro io a piedi, con la scusa che non gli ho lasciato le chiavi per aprire il garage.

Andata: «tutto ok» mi scrive la nonna su Whatsapp.

Ritorno: parto troppo presto da casa e faccio tutta la strada incontro a lui fino ai campi da rugby. Quando arrivo, lui ha appena finito l’allenamento e deve ancora svestirsi, fare la doccia, ecc. ecc. Mi vede e mi dice: «Oh, mamma … Che ci fai qui?». Sono come il ladro davanti al poliziotto. Rimedio con un: «No, nulla. Ho notato che non ti ho dato le chiavi del garage … te le ho portate. Ma non torniamo assieme; quando sei pronto, vai pure in bici, io faccio due passi a piedi fino a casa».

Non so bene perché (o forse sì …) aspetto la sua interminabile doccia e vestizione. Quando esce dallo spogliatoio ha i capelli tutti bagnati. Mi dico: vedi che ho fatto bene a venire, perché non è ancora autonomo; non si asciuga mai bene la testa, devo dirgli di mettersi il berretto se no si prende un’otite!

Però mi rendo conto di essere davvero una lagna di madre. Quante scuse so tirar fuori pur di stargli addosso, lo placco stretto stretto. Ma c’è quel momento in cui il giocatore scappa con la palla in mano, fugge e va a meta.

Lui si mette il berretto, accende le luci della bici, mi saluta e va.

Io resto indietro a piedi.

Lo vedo filare via sulla pista ciclabile: è buio e lungo il viale alberato lui è un intermittente puntino luminoso sotto le fronde scure degli alberi. S’allontana da me sempre più.

Io ti ho «dato al mondo» – penso. Sì, «dare al mondo» è forse il sinonimo più bello di partorire, così come «venire alla luce» è il sinonimo più bello di nascere.

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Foto di Sigfrid Lundberg

Tu, figlio mio, sei venuto alla luce e io ti ho dato al mondo. So che la tua piccola luce sarà coperta di grandi ombre, come adesso che corri veloce a casa sulla tua bici, e in quei momenti io non sempre ci sarò. Rimarrò indietro e tu dovrai custodire la tua luce in mezzo a un mondo di ombre.

Certo, spero di esserci il più a lungo possibile. Ma la strada è tua, Michele. Io sono indietro e diventerò sempre più lenta rispetto ai tuoi scatti, ai tuoi desideri, ai tuoi sogni.

Penso che mi sento ancora più genitore, ora. Ora che lui è avanti, verso la sua meta, e io lo guardo da dietro e quasi lo perdo di vista. Forse è già arrivato a casa, mentre io cammino ancora. Funziona così. Lui va. Io lo guardo e mi sento davvero protagonista di qualcosa di grande, ora che non sono più io al centro della scena e una storia tutta nuova se la sta scrivendo lui, pedalata dopo pedalata, placcaggio dopo placcaggio, sudata dopo sudata.

 

3 commenti

  1. Cara Annalisa, nessuno ti capisce quanto me in questo momento: sono in ospedale per un intervento e ho lasciato a casa il mio “bambino” ventunenne…. Ti ricordi la poesia di Tagore dedicata ai figli? Dobbiamo rileggerla più di qualche volta nelle circostanze della vita che ci rendono tanto orgogliose della nostra maternità, prendendo a modello sempre quella misericordiosa di Dio che, nella sua bontà infinita, ci permette anche di sbagliare.

  2. Condivisibile pienamente! Ma quanto è bello “vedere, guardare e osservare” anche “da lontano” i propri figli che crescono e che agiscono sempre più in autonomia. La finalità del genitore è proprio questa; in quei momenti prendi coscienza, in un lungo respiro, e ci si sente realizzati!

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