«Non ho tempo!» … è la cosa migliore che puoi dire

Sono molto competente su questo argomento, meriterei una laurea honoris causa. Mi riferisco a un genere letterario di quotidiana notorietà: il lamento di chi grida “Non ho tempo!”.

Ieri sera mi sono resa conto che non ho mai preso sul serio quel che dico con quella frase, forse è vero anche per voi. E stamattina un episodio fortuito me lo ha confermato. Andiamo per ordine.

Quando diciamo “Non ho tempo!” intendiamo dire che le cose da fare sono così tante da non riuscire ad adempierle nel tempo che ci eravamo prefissati. Spesso gli imprevisti ci mettono il carico di bastoni, a sottrare il nostro già risicato-poco-tempo.

In ogni caso, non stiamo davvero dicendo “Non ho tempo” … frase che letteramente e correttamente interpretata significa: io non possiedo il tempo. Sto rileggendo in queste settimane Le lettere di Berlicche di C. S. Lewis. Chi conosce l’opera avrà pazienza che ne richiami la cornice generale.

Nella finzione letteraria il libro è una raccolta di lettere che un diavolo esperto, Berlicche, scrive al suo giovane nipote Malacoda, per educarlo a diventare un diavolo bravo a catturare anime per l’Inferno. Quel matto di Lewis era un genio! E’ riuscito a disinnescare la nostra ritrosia a parlare dei peccati e ci mostra quanto i nostri comportamenti comuni debbano confrontarsi con grandi tentazioni. Ma non divago.

Veniamo al tema del tempo. Nella lettera 21 Berlicche suggerisce a Malacoda una tecnica sicura per portare l’anima del suo “protetto” a sicura dannazione: fargli credere che il tempo sia suo.

Ora, avrai notato che nulla riesce a farlo tanto facilmente andare in collera quanto il vedersi portar via, senza che se l’aspettasse, un periodo di tempo che credeva di avere a completa disposizione.

Vi sentite – come me – perfettamente descritti dal diavolo Berlicche? Bene, andiamo avanti.

… va in collera perché egli considera il suo tempo come proprietà e ha la sensazione di essere derubato. Devi perciò custodire gelosamente nella sua testa questa strana pretesa: “Il mio tempo è roba mia”.

Tradotto: tutte le volte che pensiamo al tempo come qualcosa di nostro, ci danniamo. Ed è onestamente vero. Ci arrabbiamo, lo stomaco borbotta, la testa fuma quando pensiamo di non avere a disposizione quello che ci è dovuto in termini di minuti e ore per fare quel che avevamo progettato.

Photo by Taryn Elliott on Pexels.com

Stamattina mi è capitato un incontro ad hoc. Mia figlia doveva fare le vaccinazioni di routine e siamo andate all’ambulatorio. Come noi, tanti altri genitori e bimbi. C’era anche una mamma giovanissima (e bella!) con in braccio la sua bimba di pochi mesi: era visibilmente alterata. La dottoressa dei neonati era in ritardo per un imprevisto e tutta la tabella degli appuntamenti era saltata.

Siamo capitate vicine a questa mamma, la cui ansia e ira crescevano. Continuava a ripetere: “Ci avevano detto un’ora e non la rispettano. Potevano avvisarci“. Ad ogni ripetizione la frase si allungava con aggettivi turbati, irati, amari. Le ho parlato, solo per distrarla, e perché la capisco benissimo. All’inizio della maternità gestire un neonato in un posto pubblico per un tempo indeterminato è difficile. Io andavo sempre nel panico. All’inizio della maternità il tempo è sempre un problema, grave. (anche dopo)

Insomma, parlando mi ero fatta l’idea che fosse lì da secoli. Raccontava il suo dramma con tinte di passato remoto. E invece … ho scoperto che era arrivata alle 9.50 e mentre parlavamo erano le 10.10. Voglio deriderla? Assolutamente no. La capisco perfettamente. Vedo in lei una mia sorella, di dannazioni: se il tempo è mio, quello che non va come deve è un furto. Anche solo 20 minuti possono diventare un’eternità … di minuti trascorsi nell’ira e nell’ansia.

“Non ho tempo”, dunque. Che significa? La dura e pura verità. Il tempo non è mio e non è scritto da nessuna parte che mi sia dovuto un minuto in più di quello che sto vivendo. Non ho il tempo, esattamente come il nuotatore non ha il mare in cui nuota. Ci entra sapendo che è un elemento estraneo e ogni onda contraria ci sta, e ogni zona tiepida e calma è un dono.

Per concludere torno a Lewis. La parte davvero difficile che spetta al diavolo – per dannare l’uomo – è quella di mantenere l’anima dentro la pretesa ASSURDA che il tempo sia oggetto di possesso. E’ assurdo perché il dato di realtà smaschera subito questa pretesa, eppure quanto poco badiamo alla realtà? Se semplicemente osservassimo l’esperienza diremmo: “Non ho tempo. Perché il tempo mi arriva addosso in ogni istante come un estraneo a cui do il benvenuto”. Ogni gesto allora sarebbe libero dalla schiavitù di una scadenza ossessiva, ogni imprevisto non sarebbe qualcosa a cui sputare contro. Riusciremmo a fine giornata a dire grazie di tutto il tempo che ci è stato dato. E vedremmo quel che abbiamo fatto, non quello che manca all’appello.

L’uomo non può né fare né arrestare un attimo di tempo; gli giunge tutto per puro dono. Sarebbe come se dovesse considerare le stelle e il sole di sua proprietà.

Photo by anouar olh on Pexels.com

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